ricorso Art. 700 c.p.c.: recente ordinanza
il provvedimento cautelare richiede necessariamente la presenza di una situazione di urgenza: imminenza e irreparabilità
Paolo Ioele 31/08/2021 0
Il Tribunale di Salerno, sezione lavoro, attraverso una lucida interpretazione, interviene sul delicato tema dei presupposti per la concessione della tutela cautelare, ex art. 700 c.p.c.
in data 30.08.2021, il Giudice del Lavoro respinge la richiesta di un dirigente medico, volta a far accertare e dichiarare il suo diritto ad ottenere la revoca di una nota dell'Ente Ospedaliero - patrocinato dallo studio Legale Ioele - avente ad oggetto " richiesta proroga aspettativa per ricongiungimento coniuge all'estero", con conseguente sospensione dell'efficacia della suddetta nota.
Nello specifico il Medico aveva richiesto la concessione di un periodo di aspettativa senza assegni per ricongiungimento familiare; il datore di lavoro aveva accolto solo parzialmente la suddetta richiesta, pretendendo il rientro in servizio entro una certa data. Tale circostanza spingeva il ricorrente ad adire l'autorità giudiziaria.
Ritualmente instauratosi il contraddittorio, il ricorso veniva rigettato.
La tutela cautelare, infatti - si legge nella citata ordinanza - se può trovare ingresso in presenza di vicende del rapporto di lavoro idonee a ripercuotere i loro effetti in maniera dirompente su diversi aspetti della vita delle persone che ne siano parte, non può viceversa essere accordata in maniera indiscriminata sulla base della mera e astratta valutazione dell’urgenza e dell’indifferibilità di determinate vicende.
Al contrario, è solo la presenza concretamente dedotta, riscontrata e dimostrata di un pregiudizio grave, imminente e irreparabile derivante dall’attesa della sentenza definitiva nel merito, che può giustificare l’accoglimento del ricorso proposto in via d’urgenza.
Diversamente opinando, si perverrebbe all’assurda e incongrua (in un’ottica di sistema) conclusione di consentire un indiscriminato ricorso alla tutela cautelare, in modo da farla divenire il mezzo ordinario di risoluzione dei conflitti tra le parti.
Il provvedimento cautelare, in definitiva, richiede e postula necessariamente la presenza di una situazione di urgenza, qualificata dall’imminenza e irreparabilità della lesione al diritto azionato, in dipendenza del tempo necessario per lo svolgimento del giudizio ordinario.
Il pregiudizio, poi, può essere considerato irreparabile allorquando la lesione del diritto, causata da una tardiva tutela, sia tale da non poter essere più rimediata attraverso una reintegrazione in forma specifica o per equivalente, tale da ripristinare la situazione giuridica preesistente.
Ne consegue, quale logico e ineludibile corollario, che tale elemento, anche in considerazione dell’eccezionalità dello strumento di tutela, dev’essere specificamente indicato e provato.
Trasponendo le considerazioni sin qui svolte nella vicenda per cui è causa, non può non rilevarsi come la procedura d’urgenza introdotta dal ricorrente non sia in alcun modo sorretta dalla sussistenza di un danno qualificato dai requisiti dell’imminenza e dell’irreparabilità.
Il ricorrente, si è limitato a sostenere, nel ricorso volto ad ottenere l’emanazione del provvedimento d’urgenza, che “il danno grave e irreparabile è insito nella mera decorrenza del tempo necessario per la decisione del presente giudizio, atteso che, trattandosi di aspettativa senza assegni concessa al dirigente medico con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il cui coniuge presti servizio all’estero, l’ottenimento della stessa, necessariamente, dovrà essere concesso in tempi ristrettissimi, anche in considerazione della circostanza, non di poco conto, che il coniuge del ricorrente, proprio per ragioni di servizio, risiede negli Stati Uniti: ci si chiede come potrebbe l'odierno attore … rientrare immediatamente in Italia lasciando in un Paese così distante dal nostro la propria famiglia …; tale situazione potrebbe creare realmente dei danni gravi ed al tempo stesso irreparabili”.
Quelle testè riportate costituiscono, all’evidenza, asserzioni del tutto generiche e astratte, ancorate a supposizioni prive di reale e concreto riscontro sul piano fattuale e assolutamente inidonee, ex se, a legittimare l’adozione dell’invocato provvedimento cautelare, con conseguente soccombenza, anche in termini di spese di processo.
per maggiori info, scrivi a: segreteria@studioioele.it
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Paolo Ioele 10/08/2021
Domanda di conversione in contratto a tempo indeterminato: sentenza recente
E' del 05 maggio 2021 una interessante sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore che ha rigettato il ricorso proposto da una lavoratrice assunta con contratto di apprendistato triennale che l'ha vista legata ad un Consorzio farmaceutico difeso dallo Studio Ioele.
L'attrice deducendo profili di illegittimità del contratto di apprendistato ha chiesto dichiararsi la conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato con conseguente reintegra nel posto di lavoro e condanna al pagamento delle retribuzioni medio tempore non percepite con conseguente regolarizzazione contributiva.
Il Giudice del Lavoro riteneva la domanda della lavoratrice infondata, in quanto contrastante con il combinato disposto degli artt. 18 comma 1 D.L. n. 112/2008, conv. in l. 133/08, e dall'art. 4, commi 102 e 103 della l. 183/2011 da coordinarsi con l'art. 9 comma 28 d.l. n. 78/2010, secondo il quale il Consorzio convenuto ( ente a totale partecipazione pubblica) è assoggettato ai principi di reclutamento del concorso pubblico.
Ne consegue, in primis, in virtù delle anzidette norme inderogabili che il contratto di apprendistato - indirizzato ab origine alla naturale conversione in contratto a tempo indeterminato ( salvo il preventivo recesso del datore di lavoro) allorquando sia attuato da soggetti pubblici, debba prevedere una previa procedura concorsuale, sotto pena di nullità del contratto medesimo.
In secondo luogo appare inapplicabile - in subjecta materia - l'istuituto della conversione dei contratti di apprendistato in contratti a tempo indeterminato , in quanto tale rimedio violerebbe surrettiziamente la regola dell'accesso alle carriere mediante pubblico concorso.
In estrema sintesi, dunque, anche nelle società a totale partecipazione pubbica, così come per gli Enti pubblici, in tutte le ipotesi di contratti di lavoro limitati nel tempo nulli o illegittimi, i rimedi giudiziali dell'azione di reintegra o di conversione in contratti a tempo indeterminato sono impercorribili per le ragioni di diritto anzidette.
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Paolo Ioele 25/09/2021
Legittimo il licenziamento per chi offende un Collega di Lavoro
Con Ordinanza del 17.09.2021, il Tribunale di Salerno - sezione lavoro - rigetta il ricorso, avente ad oggetto l' impugnativa di licenziamento, di un dipendente, il quale si era reso protagonista di comportamento inurbano nei confronti di una collega di lavoro.
Infatti il lavoratore, durante l'orario di lavoro, aggrediva verbalmente una collega definendola "ignorante", in presenza di altre persone.
La società - patrocinata in giudizio dallo Studio Ioele - si vedeva costretta, per tale condotta, a comminare il licenziamento per giusta causa ex art. 2119 c.c.
Il provvedimento veniva impugnato dal dipendente sulla base di asseriti motivi ritorsivi perpretati in suo danno dal datore di lavoro.
Dopo una intensa istruttoria nella quale venivano ascoltati diversi testimoni, il Giudice del Lavoro - udite le conclusioni dei difensori - osservava:
" Il ricorso è infondato e non può trovare accoglimento
il ricorrente impugna il licenziamento irrogatogli dalla Società innanzitutto sotto il profilo del carattere ritorsivo del provvedimento espulsivo . Il ricorrente , infatti , sostiene che il licenziamento avrebbe come unico motivo illecito e determinante la reazione della società a leciti comportamenti da lui posti in essere per rivendicare i diritti nascenti dal rapporto di lavoro e , in particolare , il giusto inquadramento contrattuale.
Detto motivo di doglianza è tuttavia privo di fondamento . La Suprema Corte di Cassazione , infatti , è ferma nel ritenere che per affermare il carattere ritorsivo e quindi la nullità del provvedimento espulsivo , in quando fondato su un motivo illecito , occorre specificamente dimostrare che l’intento discriminatorio e di rappresaglia per l’attività svolta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro , anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso. (Cass. n. 9468 del 4.4.2019; Cass. 27325/2017 ) .
La natura ritorsiva del licenziamento non solo deve essere provata dal lavoratore , ma deve emergere come causa determinante del recesso , nel senso che l’ingiusta e arbitraria reazione deve costituire l’unica ragione del provvedimento espulsivo (Cass. n. 14753 del 2000).
In tali casi , quindi , è necessario dimostrare che il recesso sia stato motivato esclusivamente da un intento vendicativo da parte del datore di lavoro a fronte di una condotta legittima del lavoratore
nel caso di specie , la prova orale ha confermato che il ricorrente ha effettivamente posto in essere la condotta contestata con la lettera di addebito e la stessa descrizione dei fatti operata in ricorso conferma gli ulteriori addebiti menzionati nella lettera di licenziamento evidenziando come il provvedimento espulsivo abbia rappresentato la conseguenza , non di legittime rivendicazioni del lavoratore , quanto piuttosto la reazione ai perduranti comportamenti scorretti e insubordinati tenuti dallo stesso .
Ed invero , i testimoni escussi nel corso dell’istruttoria hanno riportato in maniera puntuale i fatti accaduti confermando l’oggetto della contestazione , vale a dire il tono aggressivo utilizzato dal ricorrente nei confronti di altra lavoratrice , tale da crearle uno stato di malessere e l’allontanamento dal lavoro , la presenza in azienda di terze persone che , pur stazionando in una stanza diversa , udivano i toni del colloquio tanto che si rendeva necessario intervenire nei confronti del ricorrente perché moderasse i toni, l’assenza di un rapporto di gerarchia tra il ricorrente e la collega aggredita..."
Emerge, dunque, la condatta inurbana adottata dal dipendente nei confronti della collega e ciò a prescindere dal ruolo gerarchicamente sovraordinato che il ricorrente asserisce di aver rivestito. Anche una posizione di potere , infatti , non può giustificare i toni offensivi e lesivi della dignità della lavoratrice utilizzati nell’episodio in questione , nel quale la malcapitata viene tacciata di ignoranza e ironicamente carente di fosforo.
Viene così confermata la legittimità del licenziamento, anche perchè con il suo comportamento, il ricorrente ha alterato, altresì, la funzionalità aziendale determinando l’abbandono del posto di lavoro da parte della collega offesa ed il suo malessere, ledendo l’immagine aziendale per la presenza di soggetti terzi .
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Paolo Ioele 14/03/2021
Del Lavoro Subordinato - a cura di Ioele Lorenzo
Questo Commentario è nato da un'idea e dallo stimolo di Giuseppe Fauceglia che ne ha suggerito l'impostazione in linea con il Commentario da Lui diretto (Impresa e Società, Pisa, 2017). Ho raccolto i commenti di una serie di amici i quali, salvo due, sono espressione dell'avvocatura della provincia di Salerno e sono espressione dell'Ateneo salernitano ove si sono laureati ed hanno collaborato, a vario titolo ed in diversi periodi, con la prof.ssa Vaccaro. Il desiderio comune a tutti gli Autori di dedicare questo libro a Maria Josè Vaccaro in occasione del suo pensionamento è stata la spinta finale a concludere il lavoro iniziato diversi anni fa. ( Prof. Avv. Lorenzo Ioele)
per maggiori info contattare segreteria@studioioele.it